È esperienza comune osservare come nel mondo animale i cuccioli siano spesso in grado, nel giro di poche ore, di esplorare il mondo in parziale autonomia e di mostrare comportamenti simili a quelli degli adulti. Un cavallo può muoversi autonomamente dopo un’ora dalla nascita. Un babbuino appena nato può aggrapparsi alla propria madre mentre questa salta tra gli alberi. Se gli umani sono così intelligenti, perché i nostri neonati sembrano metterci così tanto a diventare “autonomi”? Una risposta a questa domanda potrebbe arrivare da un teschio di un giovane australopiteco trovato da alcuni minatori a Taung, un villaggio del Sud Africa, nel 1924. La peculiarità di questo teschio era che nonostante il tempo passato, fosse conservato incredibilmente bene. Così, a distanza di decenni, i ricercatori hanno potuto analizzarlo con moderni computer e software scoprendo che a differenza di quanto osservato nei predecessori, è possibile che nel giovane teschio di australopiteco fosse presente un’apertura naturale tra le placche frontali, quella che noi chiamiamo fontanella. Questa scoperta ha suggerito un’ipotesi affascinante. Proprio mentre i nostri antenati australopitechi iniziavano a muoversi su due zampe, liberando le mani per interagire con il mondo, è possibile che lo spazio a disposizione per la completa maturazione del feto diminuisse. Provate: se vi spostate da una posizione a quattro zampe ad una a due zampe, lo spazio a livello della vostra pancia si riduce. Di conseguenza, non era più possibile portare a completa maturazione il feto nei termini temporali previsti dalla gravidanza. Per ovviare a questo, l’incredibile macchina dell’evoluzione ha consentito alle ossa della nostra testa di essere flessibili e di “chiudersi” solo dopo qualche tempo dopo la nascita. In questo modo, il cervello umano continua a maturare e crescere ben oltre la vita fetale e lo fa all’interno di un mondo esterno, fatto di cose e persone con cui il bambino imparerà a interagire. In altre parole, il grande vantaggio degli umani è quello di completare la maturazione del cervello in un periodo in cui si inizia già a interagire e ad imparare dal mondo esterno. Se il cervello fosse un computer – una brutta analogia, lo so – potremmo dire che finisce di essere assemblato sfruttando le conoscenze che derivano dal mondo in cui sarà utilizzato. Un bel vantaggio! A scapito quindi di essere un po’ meno rapidi a diventare “adulti”, gli umani hanno così massimizzato la capacità del loro cervello di apprendere dal mondo per crescere e svilupparsi. Considerando che il mondo esterno è, per un neonato umano, per la maggior parte rappresentato dai genitori questo ci conduce a un’altra domanda: quanto sono importanti le prime relazioni tra genitore e bambino? Di questo inizieremo ad occuparci nella prossima “curiosità”.
Per approfondire: Falk D et al (2012) https://doi.org/10.1073/pnas.1119752109